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Testi

FABRIZIO CONSOLI con FAUSTO BECCALOSSI
IL CORAGGIO
CANZONI E BALLATE
TRATTE DALLA POETICA DI PASOLINI

Edizioni/Publishing
AEREOSTELLA

tranne

CHE COSA SONO LE NUVOLE
Curci/Megao’ edizioni musicali

IL CORAGGIO
Stranisuoni/TumTumPa’/Warner Chappell Publishing

SIRENA
Davvero Comunicazioni Edizioni

Perche’ Signore la tua chiesa 

non mi voleva da ragazzo

alla domenica mattina?

 

Come nell’acqua la mattina

fresco il mio cuore di ragazzo

correva intorno alla tua chiesa

 

Era nel sole la Tua chiesa

e col chiaro cuore di ragazzo

giocavo al sole di mattina.

 

E Tu, si Tu

tu eri muto nella chiesa.

 

Le scuole erano nel cielo

del capoluogo tutto in marmo

col sole ardente sui caffè.

 

I vostri figli al caffè,

Erano belli come statue

scendevano coi libri il cielo

 

Perchè le scuole eran nel cielo:

e sopra lapidi di marmo

inciso il prezzo del caffè.

 

Per noi, per noi

senza occhi per il cielo.

La puttana è una regina, e un rudere il suo trono
la sua terra un pezzo di prato, lo scettro una borsetta rossa
abbaia nella notte, nella notte sporca e feroce
come un’antica madre difende il suo possesso e la vita

Attorno, gonfi e sbattuti, coi loro baffi brindisi o slavi
sono i loro capi, i reggenti, nel buio, i loro affari da poco
il mondo, escluso, tace tutto intorno,
intorno a loro, che se ne sono esclusi

Ma nei rifiuti del mondo, nasce un nuovo mondo:

e potenze, e nobiltà feroci
e nuove leggi dove non c’è più legge,
nuovo onore dov’è onore, il disonore

Nei luoghi sconfinati dove credi la città finisca
e dove ricomincia, invece, e ricomincia mille volte
con ponti e labirinti, e cantieri
dietro un gran mare di grattacieli,
a coprir gli orizzonti.

Ma nei rifiuti del mondo, nasce un nuovo mondo
e potenze, e nobiltà feroci,
nuove leggi dove non c’è più legge,
nuovo onore dov’è onore, il disonore

E i figli si gettano nell’avventura di un mondo
che di loro ha paura.
La loro pietà è nell’essere spietati,
la loro speranza
nel non avere speranza.

Mi chiedo che madri avete avuto…
Mi domando che madri avete avuto…

Se vi vedessero ora al lavoro

in questo mondo a loro sconosciuto

in un vortice mai compiuto d’esperienze cosi

così diverse dalle loro…

 

Fossero lì, mentre voi scrivete

il vostro pezzo conforme e barocco

o lo passate a redattori rotti a ogni compromesso,

capirebbero chi siete?

Che sguardo avrebbero negli occhi?

 

Madri mediocri, che hanno imparato

con umiltà di bambine, di noi,

un unico, nudo significato

in cui il mondo è dannato

a non dare né dolore né gioia

né dolore né gioia

 

Madri mediocri, che non hanno avuto

per voi una vera parola d’amore

se non sordidamente muto

e così in questo vi hanno cresciuto

impotenti ai reali bisogni e ai reali richiami

i richiami del cuore

 

 

 

 

Madri servili, abituate da sempre

a chinare senza amore la testa,

e nel viso quel timore antico,

un antica vergogna, un segreto

che ridà ai lineamenti un biancore

che annebbia, e allontana

allontana dal cuore

 

Eccovi, servi, vigliacchi, mediocri,

le vostre povere madri feroci!

Sono le Madri che vi hanno insegnato

a non conoscer pietà nè rispetto

e a covare superbia nel petto

e che non hanno vergogna

a sapervi cosi

 

È così che vi appartiene il mondo…

Resi fratelli da opposte passioni,

o dalla guerra per patrie nemiche

dal rifiuto profondo al diverso

incapaci di dare risposta

al selvaggio dolore

di esser uomini

A Quindic’anni

panni d’amore ummido

A Quindic’anni

Pupille malandrine

ma addò tenevo er core?

Addo? Addò tenevo er core…


Bè, ‘o tenevo ne l’ombra

de la mano cacciata

ne la saccocciia calla.


A quindic’anni

Come violette ar vento

le pupille sciolte

sur mio corpo moro

ma addò tenevo er core?

 

Ehh, bè, ‘o tenevo ne l’ombra

de la mano cacciata

ne la saccocciia calla

Eran violette ar vento

le pupille sciolte

sur mio corpo moro

Avevo quindic’anni

quanno na mano, lesta

me rubbò le viole

da la saccoccia calla

Che io possa esser dannato
Se non ti amo  
E se così non fosse
Non capirei più niente
Tutto il mio folle amore
Lo soffia il cielo
Lo soffia il cielo, Così

 Ah ma l’erba soavemente delicata
Di un profumo che da gli spasimi
Ah tu non fossi mai nata
Tutto il mio folle amore
Lo soffia il cielo
Così

Il derubato che sorride
Ruba qualcosa al ladro
Ma il derubato che piange
Ruba qualcosa a se stesso
Perciò io vi dico
Finché sorriderò
Tu non sarai perduta

Ma queste son parole
E non ho mai sentito
Che un cuore, un cuore affranto
Si curi con l’udito
Tutto il mio folle amore
Lo soffia il cielo
Così

Stupenda e misera città
nel calore incantato
della notte che piena quaggiù
tra le curve del fiume
e le sopite visioni di luci
scheggia di mille vite
mistero e miseria dei sensi, e…
disamore


Stupenda e misera città,
m’hai insegnato e m’insegni
ciò che allegri e feroci
già impariamo bambini
come andare duri e pronti
nella ressa di strade per farmi scoprire
ciò che in tutti era il mondo

 

Quando davvero amavo
e  davvero volevo capire
quando sincero amavo,
e veramente volevo capire
Quando davvero amavo
e davvero volevo capire
Quando, sincero, amavo
e volevo capire

 

 



Stupenda e misera città
dell’eterno colore d’estate
e di quella vita ignota mi hai regalato esperienza
E’ la la notte più bella d’estate
E Trastevere è odore di paglia di stalle
di vuote osterie
e ancora non dorme


Stupenda e misera città,
che mi hai insegnato  le piccole cose
cose in cui la grandezza della vita di pace si scopre
a difendermi, a offendere,
e ad avere tutto il mondo negli occhi
e non solo nel cuore… non solo nel cuore….


Ma solo l’amare conta
solo il conoscere conta
non l’aver amato
non l’aver conosciuto

Dà angoscia il vivere
di un consumato amore.
L’anima non cresce più

Me sento
Me sento vive in quelle notti,
E moro de gioventù

Er specchietto indove
me specchiavo
li ricci de mamma
e quell’occhi
quell’occhi rubbati ar celo…

Er bottone strappato
a la camicetta
pura
pura come er foco.

Trastavere de notte
le zanòide,
na canzona strappata
a un bare

Me sento
Me sento vive in quelle notti
e moro de gioventù

Trastavere de notte
l’ST d’argento
na canzona strappata
a un bare

Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli
scenderà da Algeri
su navi a vela o gommoni

Saranno migliaia con lui
gli occhi di poveri cani dei padri
sulle barche varate
nei Regni della Fame

E porteranno i bambini con loro
e il pane e il formaggio,
su triremi rubate
ai porti coloniali

Sbarcheranno a milioni
a Palmi, o a Crotone
coi loro stracci asiatici
e camicie americane

E da lì fino a Napoli

Marsiglia, Barcellona,
fino a Roma e a Milano
alle Città della Malavita

 

Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
e sempre colpevoli

 
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi sempre infimi
e occhi solo per pregare

Solo un figlio dei figli
e un giorno andò in Calabria d’estate
e trovò case vuote e nuove
di pandizucchero e fiabe di fate

Ma lui aveva quegli occhi
occhi di paglia bruciata
occhi senza paura
e vide ciò che era male

Nella la tragica luna del sole
orti senza insalata
e campi senza terra
e fiumi senza acqua

Nelle campagne lasciate alla luna
Il vento dallo Jonio
scuoteva paglia nera
come nei sogni profetici

Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
e sempre colpevoli


essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi sempre infimi
occhi solo per pregare

Essi che costruirono
leggi senza legge
e che si adattarono
a un mondo sotto il mondo

Essi che credettero
in leggi senza legge
essi che credettero
a un Dio servo di Dio

Impareranno a vivere
come assassini sotto terra,
banditi in fondo al mare,
pazzi in mezzo al cielo


Caro Dio,
Ti scrive un figlio che frequenta
la millesima classe delle elementari

Caro Dio,
è venuto da noi Monsieur Homais
che dice di essere Te
e noi gli abbiamo creduto

Ma tra noi c’era uno scemo
con la sua oscena personalità
esibita per tutti, fanti e infanti,
che ti chiamava Axel

E viveva di rendita ma non previdente
Era povero ma non era risparmiava
Era un angelo puro ma non era perbene.
Infelice e sfruttato ma… non aveva speranza

 

Caro Dio, Monsieur Homais
lui veniva da Lione o da Colonia, non ricordo
E ci parlava sernpre del domani…  ci parlava sernpre del domani
Caro Dio liberaci dal pensiero del domani.
Quello di cui ci hai parlato per bocca di M. Homais.


Caro Dio, Monsieur Homais
lui riproduceva te punto per punto
col panciotto e il vestito in lana scura
la camicia di seta e una cravatta blu

Però Dio, sarà che noi ora vogliamo vivere come quello scemo
che inseguiva fra i suoi demoni, il suo Axel
troppo bello per essere solo Te

E viveva di rendita ma da sprovveduto
Era povero ma non era risparmiava
Era un angelo puro ma non era perbene.
Infelice e sfruttato ma… non aveva speranza

E’ che I’idea del potere non potrebbe mai esistere se non ci fosse
l’idea del domani… l’idea del domani…
non solo, ma senza il domani,
la coscienza non potrebbe avere giustificazioni… giustificazioni


Caro Dio
Facci vivere come gli uccelli del cielo e i gigli dei campi